La granola è diventata protagonista delle colazioni italiane, conquistando scaffali e dispense con la promessa di nutrizione e benessere. Ricca di fibre che migliorano la digestione, fonte di proteine e grassi sani provenienti da noci e semi, questo alimento può effettivamente contribuire alla salute cardiovascolare e al controllo del colesterolo. Tuttavia, dietro le confezioni accattivanti si nasconde spesso una realtà meno rosea: molte granole commerciali contengono zuccheri aggiunti, oli di bassa qualità e ingredienti provenienti da filiere poco trasparenti.
Le trappole nascoste nelle etichette della granola
Quando acquistiamo granola, ci lasciamo spesso guidare da descrizioni allettanti come “cereali selezionati” o “frutta secca di prima qualità”. Queste diciture, non regolamentate in maniera stringente, rappresentano spesso semplici strategie di marketing prive di criteri oggettivi di qualità. Il termine “selezionati” può riferirsi semplicemente a scelte commerciali basate sul minor costo di produzione piuttosto che su una reale selezione qualitativa.
Il Regolamento UE 1169/2011 obbliga i produttori a indicare il paese di origine solo per alcune categorie di alimenti freschi come frutta, verdura, carne e latte fresco. Per i prodotti trasformati come la granola, questa indicazione non è obbligatoria, lasciando noi consumatori senza informazioni fondamentali sulla provenienza degli ingredienti che finiscono nella nostra ciotola della colazione.
I segnali d’allarme da riconoscere subito
L’assenza di riferimenti geografici specifici rappresenta un primo campanello d’allarme quando esaminiamo la confezione. Sebbene non si possa affermare con certezza che questa mancanza indichi sempre scarsa tracciabilità, certamente riduce la trasparenza per il consumatore e può suggerire l’utilizzo di ingredienti provenienti da filiere globalizzate dove i controlli sono meno rigorosi.
La lista degli ingredienti rivela moltissimo sulla qualità del prodotto che stiamo per acquistare. Diciture generiche come “avena”, “mandorle”, “nocciole” senza specificazione geografica, accompagnate da lunghe liste di additivi identificati con sigle alfanumeriche, sono tipiche dei prodotti industriali assemblati con componenti di varia provenienza. Il Ministero della Salute italiano raccomanda proprio la lettura attenta delle liste ingredienti per riconoscere qualità e quantità degli additivi presenti.
Il mistero degli oli vegetali non specificati
La presenza di oli vegetali non specificati merita particolare attenzione durante la nostra analisi dell’etichetta. Questa indicazione generica può nascondere l’uso di oli meno nobili come palma o soia, spesso provenienti da coltivazioni ad alto impatto ambientale in paesi extra-europei. Report di organizzazioni come WWF e FAO documentano gli impatti ambientali e sociali negativi legati a queste colture intensive, dove i controlli ambientali sono spesso meno rigorosi rispetto agli standard europei.
Molti produttori utilizzano certificazioni che sembrano garantire qualità ma che in realtà forniscono informazioni limitate. Diciture come “prodotto secondo standard internazionali” o “conforme alle normative europee” sono certificazioni di processo che non rivelano nulla sulla reale provenienza delle materie prime. Solo certificazioni come IGP, DOP o il biologico con specifica del paese offrono maggiore trasparenza sulla filiera produttiva.
Il paradosso del prezzo premium
Le filiere agroalimentari globali sono caratterizzate da pratiche agricole intensive ben documentate dalla letteratura scientifica. Avena proveniente da monocolture, frutta secca coltivata con uso intensivo di pesticidi, semi oleosi trattati con solventi chimici: tutto questo può finire nella nostra granola mattutina senza che ne siamo minimamente consapevoli. Report FAO e WWF evidenziano gli impatti ambientali dell’agricoltura convenzionale, particolarmente nei grandi paesi esportatori di materie prime alimentari.
Il paradosso del mercato attuale è che paghiamo prezzi premium per prodotti presentati come salutari, quando potrebbero provenire da sistemi produttivi con impatti negativi sull’ambiente e sulle comunità locali. Studi sul fenomeno del “greenwashing” mostrano che la premiumizzazione di prodotti “sani” o “naturali” non è automaticamente correlata a filiere trasparenti o sostenibili.
Anche il termine “naturale” può trarre in inganno chi cerca prodotti genuini. Non essendo regolamentato da criteri oggettivi nell’ambito UE, può essere utilizzato anche per prodotti provenienti da agricoltura convenzionale e intensiva, caratterizzata spesso dall’uso massiccio di fitofarmaci e fertilizzanti.
Come orientarsi verso scelte più consapevoli
Per fare scelte informate, è fondamentale sviluppare un approccio critico alla lettura delle etichette senza farsi influenzare da claim pubblicitari accattivanti. Cercate prodotti che specificano chiaramente la provenienza degli ingredienti principali. Secondo le linee guida EFSA e organizzazioni come Slow Food, la trasparenza sulla provenienza geografica è un indicatore affidabile di filiera controllata e tracciabile.
Privilegiate granola che riporta indicazioni geografiche precise come “avena italiana”, “nocciole del Piemonte” o “mandorle siciliane”. La presenza di indicazioni geografiche o marchi DOP, IGP e biologico con paese è sinonimo di maggiore tracciabilità e qualità del processo produttivo, come confermato dagli istituti di tutela alimentare europei.
Alternative concrete da valutare
- Prodotti con certificazione biologica che specifica il paese di origine, garantendo tracciabilità delle materie prime secondo il Regolamento UE 2018/848
- Granola artigianale prodotta localmente con ingredienti a km zero, che utilizza materie prime di provenienza dichiarata riducendo la lunghezza della filiera
La scelta consapevole della granola richiede tempo e attenzione, ma rappresenta un investimento nella propria salute e nel benessere del pianeta. Solo attraverso un’informazione accurata e una lettura attenta delle etichette possiamo trasformare la nostra colazione quotidiana in un gesto che rispetta sia il nostro organismo che l’ambiente. In questo modo sfruttiamo appieno i benefici nutrizionali di questo alimento – dalle fibre alle proteine e grassi sani utili per la salute cardiovascolare – senza compromettere i nostri valori di sostenibilità e trasparenza alimentare.
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